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Collezione

Il 7 giugno 1878 così Venturini apre l’inventario destinato a descrivere tutto ciò che era entrato a far parte della sua collezione: “Inventario di un piccolo Museo o piuttosto Bazar per il suo contenuto, che Carlo dr. Venturini agognerebbe di offrire poi, come seguito di provata speciale affezione alla Patria Sua Carissima Massa Lombarda, se impreviste circostanze di forza maggiore alla propria volontà non venissero ad impedirlo”!

Come si diceva sopra nel corso dell’Ottocento si moltiplicano le attività collezionistiche e le collezioni dovute principalmente all’iniziativa della borghesia (numerose sono frutto dell’opera di medici, avvocati, insegnanti) vengono poi lasciate in eredità alla città di provenienza. Se prima era esclusivo interesse del collezionista quello di soddisfare la curiosità e il desiderio di possedere le cose con l’intento di tramandare intatta e celebrata la propria raccolta per soddisfazione personale, ora nei donatori si rivela la consapevolezza di compiere un dovere nell’offrire alla cittadinanza la fruizione di un patrimonio culturale prezioso per la crescita intellettuale e sociale.

Le vetrine del Museo lungo i corridoi del Centro Culturale

Ben tre delle otto sezioni del Centro Culturale (vedi pianta) sono state intitolate a Carlo Venturini. Si tratta della Biblioteca, del Museo e del Fondo Antico. La Biblioteca è concentrata prevalentemente nella grande e illuminata sala centrale (1), che accoglie la maggior parte dell’intero patrimonio librario di cui dispone. Al centro della sala sono le postazioni per lo studio, la consultazione e la navigazione in Internet. Il Museo (6) invece espone le varie collezioni sviluppandosi prevalentemente sui corridoi est e nord, all’interno di vetrine realizzate appositamente per la nuova sede e con le opere pittoriche in affaccio alle vetrine. Sempre del Museo è la stanza che accoglie la collezione naturalistica (mineralogia, malacologia) ancora conservato ed esposto negli arredi lignei originali Il Fondo Antico (4), aperto per consultazioni e ricerche, vanta circa 10.000 volumi dal XVI al XX secolo, di cui buona parte provenienti dalla donazione dell’illustre medico massese. Completa la Biblioteca il Fondo “M. Geminiani” (3) sezione che raccoglie i testi relativi ai temi della guerra, della resistenza, dell’antifascismo.E’ presente nel nuovo centro anche la biblioteca “Il Signor Oreste” (2): biblioteca per bambini e ragazzi, con tre sale a disposizione. A fianco della biblioteca per ragazzi è l’Emeroteca (5).La Pinacoteca Comunale (7) raccoglie la quadreria di proprietà comunale e dell’AUSL ed illustra alcune delle direttrici della cultura artistica locale, valorizzando le figure di pittori come Gian Battista Bassi, Luigi Folli, Angelo Torchi, Umberto Folli, Orfeo Orfei. Della Collezione AUSL, in comodato al Comune, fanno parte opere di importanti autori quali il Garofalo, il Bastianino, Massari, ecc .Queste ultime sono raccolte in una sala lungo l’ala ovest, il resto della quadreria è invece disposto lungo i corridoi. L’ultima sezione del Centro è il Laboratorio Multimediale, sala polivalente dedicata a “Giuseppe Sangiorgi” (8), importante benefattore che contribuì alla realizzazione negli anni 1908-1910 dell’Asilo Infantile Pueris Sacrum: la sala è attrezzata per video proiezione, è dotata di 10 postazioni informatiche e vi si trova una videoteca a disposizione del prestito.

IL NUCLEO ARCHEOLOGICO

La collezione venturiniana presenta caratteristiche di grande varietà ed eterogeneità;unisce infatti nuclei omogenei di materiali quali quelli archeologici e naturalistici ad oggetti strani e curiosi che meglio figurerebbero fra l’arredo domestico piuttosto che nelle vetrine di un museo.

Tale carattere sostanzialmente eclettico rispecchia pienamente il complesso clima culturale degli anni postunitari e lo distingue nettamente da altre collezioni coeve che documentano principalmente la storia e la produzione artistica di altre municipalità.

Quasi totalmente assente è il materiale preistorico a causa del disinteresse del nostro per le ricerche paletnologiche sviluppatesi in quegli anni.

Vi spicca per consistenza ed interesse artigianale un nucleo di antichità riferibili a svariati centri della nostra penisola, ma anche ad alcuni siti del vicino Oriente.

In un periodo in cui si afferma il concetto della relatività delle diverse culture ed il riconoscimento che ogni popolo ed ogni civiltà ha avuto un ruolo importante nel progresso dell’umanità si comprende quindi l’attenzione per una disciplina come l’archeologia, in grado di ricostruire e spiegare la storia e la vita quotidiana del passato.

Per la sezione archeologica il medico massese non privilegia il pezzo d’arte o l’oggetto raro e prezioso per forma, criteri di stampo neoclassico, ma preferisce l’oggetto d’uso rivelando così una aggiornata sensibilità, che si manifesta anche nella descrizione dell’inventario in cui ogni reperto è messo in rapporto col suo uso e funzione.

Interessa poco al nostro collezionista ricondurre i manufatti ad una cronologia o ad uno stile preciso.

Numerose ceramiche sono erroneamente definite “etrusche” o porcellane dette “cinesi”. Gli sembra invece indispensabile annotare, riguardo ad un unguentario romano che si tratta di “vaso lacrimatoio di vetro alquanto grande usato dagli antichi per versare le lacrime proprie onde lamentavano la perdita di un caro estinto….”

La preferenza per il manufatto è dovuta anche allo sviluppo della produzione di oggetti nel corso dell’Ottocento grazie al progresso industriale. Su di essi converge un interesse prima riservato alle opere d’arte. Le meraviglie di tali produzioni sono amplificate dalle esposizioni universali, fin da quella di Parigi del 1851; di conseguenza agli occhi di un collezionista dilettante, non specializzato, la produzione dell’”industria” antica acquista un nuovo valore.

Questo segmento di collezione si compone soprattutto di vasi dipinti, piccoli bronzi, reperti fittili , elementi architettonici e frammenti marmorei, rare iscrizioni.

Ben rappresentate sono le ceramiche greche, magnogreche e italiote, la cui presenza si spiega con la riscoperta archeologica della Magna Grecia avviata già a partire dalla prima metà del XIX secolo e il cui principale bacino di alimentazione è per Venturini la città di Rudiae. Attraverso i buoni uffici di conoscenti di Lecce e Taranto giungono parecchi materiali, fra i quali alcuni prodotti delle officine di Gnathia. Altri reperti provengono dalla Lucania occidentale per il tramite di Monsignor Macchiaroli, ottimo conoscitore dell’archeologia del Vallo di Diano e iniziatore di una raccolta a fondamento dell’attuale Museo Civico di Teggiano.

Nella hydria a figure rosse dell’atelier di Assteas e Python, attivo a Paestum nel terzo venticinquennio del IV sec. a.C. si riconosce il pezzo di maggior interesse.

A ricordare la siciliana Selinunte, con i suoi celebri templi, sono tre piccole lekythoi della bottega del Pittore della Megera databili al secondo quarto del V sec. a.C. .

Troviamo poi buccheri etruschi, ceramiche a vernice nera di varia produzione, insieme a raccolte più organiche come quelle delle lucerne, in gran parte romane, o dei balsamari di età ellenistica.

I tipi di lucerne più antichi, fabbricati a Roma risalgono al V-IV sec. a.C. , poi abbiamo lucerne , prodotte a matrice, tardo-repubblicane (“Warzenlampen”) , e quelle di età augustea e di prima età imperiale.

Seguono poi lucerne a volute (I sec. a.C. – II sec. d. C.) e lucerne a disco e a testa di uccello, da metà del I sec. d.C. . Sempre di questo periodo le “Firmalampe” (dal marchio del fabbricante).

Da ultimo le lucerne Africane o cristiane prodotte in Africa dal IV sec. d.C.

Assai spesso definiti “lacrimatoi”, in realtà i balsamari erano destinati a contenere essenze od oli profumati.

Si tratta di oggetti che non presentano particolari qualità estetiche con caratteristiche tecniche e tipologiche di una produzione seriale. La maggioranza dei balsamari della collezione proviene da due centri dell’antica Puglia: Rudiae e Taranto.

Dal canto suo, la piccola bronzistica offre un’ampia esemplificazione degli impieghi della lega metallica più usata nell’antichità sia per gli oggetti di ornamento personale e di uso domestico sia per la plastica votiva destinata ai santuari e agli altari casalinghi.

Per gli oggetti di uso quotidiano abbiamo fibule (dal VIII sec. al VI sec. a.C.), in sostanza “spille di sicurezza” che hanno un carattere d’utilità accompagnato spesso da esigenze estetiche per cui con funzioni ornamentali e d’uso.

Nella casa romana molti erano gli oggetti d’uso in bronzo: lucerne, campanelli, elementi decorativi per mobili e cofanetti, piccole statuine per abbellimento domestico.

Numerose poi nella raccolta le statuette votive destinate a santuari ed altari domestici; si rifanno generalmente ai tipi della grande statuaria di età classica: Ercole, la Vittoria, il Lare Danzante; un’ultima categoria è rappresentata da statuette votive che raffigurano fedeli in preghiera od offerenti, prodotte sin dall’età etrusca perdurando in età romana.

Continuando nella descrizione della collezione, abbiamo le testimonianze archeologiche dell’Africa Settentrionale che la carica di Console onorario della Tunisia rendeva più agevole avvicinare. Arriva perciò da Tunisi una moltitudine di materiali che abbracciano l’intero arco di vita della gloriosa Cartagine, prima fiorente metropoli punica, poi illustre colonia romana.

Un posto di assoluto rilievo, anche per il rarissimo numero di presenze simili in collezioni pubbliche italiane, spetta al piccolo gruppo di stele votive del Tofet cartaginese, che ben si prestavano con le loro raffigurazioni cariche di significati e con le iscrizioni dalla arcana grafia a svelare usi, costumi e riti di quell’antico popolo dominatore del Mediterraneo: stele puniche e un’iscrizione latina di Claudio Rufo la cui esistenza è nota nel Corpus Inscriptionum Latinarum e nel Corpus Inscriptionum Seminatarum, che già da tempo si stavano compilando con grande rigore scientifico e minuziosa attenzione documentaria. Curiosamente nel C.I.S. si riporta la notizia secondo cui alcune stele erano destinate al Museo di Torino e al British Museum di Londra e furono invece dirottate alla collezione di Massa Lombarda.

Conservate sotto cornice, secondo una “artistica” disposizione a mo’ di quadro, una serie di manufatti silicei, riassume simbolicamente la preistoria degli Abruzzi, perpetuando il ricordo di Concezio Rosa, pioniere della ricerca paletnologica e delle esplorazioni nella Valle della Vibrata.

LE CERAMICHE E I VETRI

Per quanto riguarda le ceramiche, la collezione raccoglie un bel gruppo di vasi che illustrano con una certa varietà la produzione di maioliche fiorita in Abruzzo a partire dalla metà del Cinquecento con centro principale a Castelli.

I materiali vengono donati da un non meglio precisato Commendator Rosa che può essere probabilmente identificato in Concezio Rosa, autore di una monografia dedicata alle ceramiche castellane.

Gli esemplari più antichi sembrano essere quattro albarelli, tipici vasi da farmacia, del secolo XVIII.

Un altro gruppo di maiolica castellana piuttosto omogeneo è quello che può essere accostato alle opere di Gesualdo Fuina, che lavora nel centro abruzzese nella seconda metà del XVIII secolo: un vassoio, due brocche, un vasetto.

Il gusto per le “cineserie” per l’esotico e l’orientale si ritrova in un bel servizio per puerpera della fabbrica faentina Ferniani con il tipico ornato “del garofano”, e in una zuppiera con vassoio di manifattura inglese (sec. XIX) e in una fruttiera di manifattura francese del XIX secolo.

Abbiamo esempi di fabbriche di Napoli e Firenze dei primi dell’Ottocento che si rifanno a modelli di tradizione francese o agli esemplari ceramici che vengono in luce dai nuovi scavi archeologici. Una serie di manufatti, senza particolari qualità estetiche, oggetti d’uso appartenenti alla suppellettile domestica della seconda metà del XIX secolo riconducono al gusto per il bric à brac e per i prodotti della nascente arte industriale.

Il Vetro: a partire dall’800 grazie al processo tecnico che ne consente una produzione a prezzi relativamente bassi trova nuovi campi di impiego nell’arredamento della casa borghese; a questa nuova produzione industriale sono da assegnare molti esemplari della raccolta: bottiglie (XVII sec.), oliere (XVIII sec.), candelieri, vasi da fiori (XIX sec.) e numerosi bicchieri (XIX se.), anche con iscrizioni, testimonianza di un gusto che vedeva nel manufatto un oggetto ricordo.

IL CAMMEO

Altra tipologia presente nella collezione è quella del cammeo con molti pezzi rappresentativi sia per i materiali utilizzati che per i temi raffigurati.

La tecnica del cammeo, che consiste nel rappresentare a rilievo una o più figure su pietre particolarmente dure o pregiate, esaltandone insieme la qualità della materia prima e le sue variazioni cromatiche, nasce in Egitto alla corte dei Tolomei intorno al III sec. a.C.. Dopo le campagne militari di Roma in Asia nel I sec. a. C., la moda dei cammei e delle gemme intagliate dilaga rapidamente nel mondo romano e si rafforza ulteriormente con l’arrivo nell’Urbe di artigiani orientali.

A Roma gli incisori entrano abitualmente al servizio delle classi più agiate e della corte imperiale e i cammei divengono veri e propri mezzi di comunicazione per diffondere ideologie, raffigurazioni simboliche, rappresentazioni allusive al potere politico, temi cari ai membri delle dinastie imperiali.

L’apprezzamento per le gemme intagliate e i cammei rimane intatto nei secoli, tanto da stimolare la brama collezionistica di personaggi famosi come Lorenzo de’ Medici: la celebre famiglia fiorentina fu proprietaria infatti di una vastisima raccolta che costituì un vero punto di riferimento per l’intera cultura europea.

Il collezionismo di cammei e gemme antiche intagliate raggiunge nel Settecento e nell’Ottocento il momento di massimo splendore, grazie anche alla produzione di calchi in gesso che fornivano i modelli di ispirazione per gli incisori e davano linfa vitale ad una moda che stava vertiginosamente fiorendo.

Il successo di questi oggetti, antichi o riprodotti, varca i confini locali sino a raggiungere, con l’esplosione presso i viaggiatori stranieri della passione del Gran Tour in Italia, dimensioni europee.

I numerosi laboratori disseminati fra Roma e Napoli cominciano a sfornare centinaia di gemme intagliate e di cammei che riproducono immagini care alla classicità (divinità romane, amorini, ninfe, personificazioni della Flora e della Primavera, fanciulle danzanti, colombe, personaggi storici), affiancando alla lavorazione delle pietre tradizionali come il calcedonio o la corniola, materiali meno usuali come la lava del Vesuvio e la conchiglia.

Altri materiali, oggetto di intenso collezionismo nel corso dell’avanzato Ottocento, sono i lavori in osso ed avorio, i bottoni e i ciondoli in smalto policromo, le perle in pasta vitrea e gaietto che trovano largo impiego nel costume, nella gioielleria e nei piccoli manufatti ornamentali della quotidianità.

IL MICROMOSAICO

La storia del micromosaico si intreccia strettamente con quella dei grandi lavori della Basilica di San Pietro in Roma, che per tutto il Seicento e per la prima metà del Settecento continuarono ad assorbire mano d’opera specializzata, attirando uno stuolo di indoratori, scalpellini, decoratori.

Nell’ultimo quarto del Settecento il lavoro cominciò tuttavia a scarseggiare e gli artigiani, per scongiurare lo spettro della disoccupazione, si riconvertirono professionalmente dedicandosi alla realizzazione di micromosaici, che stavano diventando allora di gran moda. Era l’epoca del “Viaggio in Italia”, del “Grand Tour” che i facoltosi cittadini stranieri, specialmente inglesi e francesi, compivano nel nostro paese per visitarne le celebrate bellezze e conoscere le testimonianze di un passato carico di storia e di arte.

Il desiderio di riportare in patria a ricordo di questi viaggi souvenirs artistici che riproducessero i monumenti più insigni, le rovine della classicità, le divinità pagane, fece fiorire diverse arti applicate, fra cui appunto quella del micromosaico che ebbe vita per circa un secolo.

Tecnicamente il micromosaico consiste nella giustapposizione di minuscole tessere realizzate in smalto “filato”, ossia lavorato a caldo fino a quando non assume lo spessore di un filo, tagliato successivamente in piccoli segmenti di due o tre millimetri.

In origine le tessere venivano composte e fissate con mastice su una lastra di rame che recava preventivamente graffito il soggetto da raffigurare; il bordo metallico eccedente era poi ribattuto in modo da “incorniciare” il disegno, rifinito da ultimo con una lucidatura a piombo. In un secondo momento, entrò in uso come materiale di supporto il marmo, nelle varietà “nero del Belgio” e “giallo di Siena”.

Fra i soggetti più amati e ben rappresentati nella collezione per il micromosaico spiccano i monumenti antichi e moderni di Roma (S. Pietro, il Colosseo, il Tempio di Vesta) e di altre città toccate dal Gran Tour, oppure le cosiddette colombe di Plinio ispirate ad un mosaico di Villa Adriana a Tivoli, o ancora le raffigurazioni naturalistiche.

IL MONETIERE

Altra sezione importante della collezione di Venturini è la raccolta numismatica che comprende monete greche, romane, medievali e moderne.

Le monete di cui non ci è giunto l’inventario originale, furono raccolte, con gli altri nuclei della collezione, tra il 1870 e il 1880. Per le modalità di acquisizione si pensa ad acquisti e, per la maggior parte, a doni e scambi con corrispondenti. Il Venturini numismatico, che farà parte dell’Istituto Antiquario e Numismatico di Buenos Aires, sembra porre scarsa attenzione al “bel pezzo” e lo stato di conservazione, generalmente non eccellente, suggerisce una provenienza da scavi.

Le presenze però di più esemplari dello stesso tipo, di zecche diverse, testimonierebbe una ricerca della completezza che richiedeva il ricorso diretto al mercato, non essendo sufficienti scambi o richieste.

La raccolta numismatica conta oltre 500 monete originariamente racchiuse in un piccolo forziere – monetiere che Carlo Venturini stesso aveva accuratamente ordinato, organizzando le monete in parte secondo una disposizione cronologica e in parte seguendo le tipologie di classificazione già ampiamente codificate nella manualistica del suo tempo. Nell’elaborazione di un manuale per il collezionista si era cimentato un certo Natale Scotti che in un solo agile volume condensò per la prima volta, nel 1803, le nozioni più importanti ad uso specifico dei dilettanti di numismatica.

Questo libretto dichiaratamente divulgativo ristampato in più edizioni rimase in voga per tutto il secolo; tutta la numismatica antica vi è compresa e ogni particolare è predisposto per orientare il lettore meno esperto: la descrizione minuziosa dei tipi, la cura nell’elencare le titolature dei singoli imperatori, l’attenzione alla rarità.

Sulla scorta di questo manuale Venturini arricchisce e ordina il proprio medagliere.

La sezione moderna, composta da circa una sessantina di pezzi in argento ed oro, rivela una ampia panoramica di monetazione settecentesca e ottocentesca, nel cui ambito spiccano diversi esemplari dei Governi provvisori del ’48, sempre molto ricercati dagli amatori e dai collezionisti. La raccolta riunisce inoltre una discreta serie di monete afferibili alle emissioni dello Stato Pontificio, circoscritte nell’arco temporale fra la seconda metà del XVIII e la prima metà del XIX secolo.

Ben rappresentate sono anche le monetazioni in metallo prezioso di vari stati, fra cui l’Impero austriaco, la Francia, la Spagna, il Portogallo; non manca neppure un dollaro d’oro del 1856.

Si segnalano infine, per la loro maggiore rarità e pregio numismatico, due esemplari della Repubblica fiorentina risalenti al 1500 circa e una moneta della Repubblica Veneta con l’effigie del Doge Mocenigo.

Una vera curiosità, non in senso strettamente numismatico, è costituita dalla cinquantina di monete, soprattutto in bronzo o rame, ma anche con qualche pezzo in oro, battute in territorio tunisino. Esse costituiscono una testimonianza ulteriore degli stretti rapporti intercorsi fra questo paese e il collezionista che della Tunisia fu per l’intera sua vita rappresentante diplomatico onorario in Italia.

Nella raccolta numismatica di età antica, che costituisce il nucleo più nutrito del monetiere, si intravvede con chiarezza da parte di Carlo Venturini la volontà – presente nei collezionisti di ogni tempo – di comporre sulla base delle offerte del mercato antiquario e delle conoscenze disponibili, serie complete delle varie emissioni.

Così per l’età romana repubblicana e soprattutto per la principale moneta d’argento – il denario – è possibile attraverso una buona campionatura seguirne tutta l’evoluzione, dalle più antiche emissioni anonime agli esemplari recanti il nome dei magistrati preposti alla coniazione, sino alle monete risalenti al periodo delle guerre civili battute in zecche al di fuori dell’Italia.

Vasta è anche la scelta della monetazione di epoca imperiale, sia in argento che in bronzo, nella quale risaltano per maggior numero di pezzi le emissioni del tempo di Augusto, le monete in argento di Traiano e dei Gordiani e si propongono alcuni interessanti esemplari di età tardoantica.

Con un solo esemplare per tipo, sono presenti anche emissioni della Magna Grecia (Apulia, Calabria, Lucania, Brutium) comprese fra l’avanzato V sec. a.C. e il III sec. a.C.

Frutto dei contatti al di fuori dell’Italia sono, infine, alcune monete dall’isola di Rodi (Caria), da Tarso (Cilicia), da Cyrene (Cyrenaica) e da Cartagine (Zeugitania).

I MINERALI, LE CONCHIGLIE, I FOSSILI E I REPERTI FAUNISTICI
L’interesse per la documentazione naturalistica e mineralogica è senza alcun dubbio dovuto alla formazione scientifica di medico che lo porta a contatto con i nuovi concetti della filosofia positivista che si diffonde in Italia alla metà del XIX secolo.

Nell’ Ottocento la moda della storia naturale, divampata nel secolo precedente non solo non si attenuò, ma, soprattutto in alcune aree geografiche quali l’Inghilterra Vittoriana, crebbe ulteriormente.

Le conferenze pubbliche e le opere di divulgazione, riccamente illustrate grazie alla nuova tecnica litografica, contribuirono in modo decisivo a rendere popolare questa scienza e a spingere al collezionismo strati sempre più larghi della popolazione. Impossessatisi oramai di tecniche di conservazione molto efficaci, i tassidermisti crebbero straordinariamente di numero lungo il secolo. E se già nel Settecento molti avevano fatto della vendita di reperti naturalistici la loro lucrosa professione, nel corso dell’Ottocento questo aspetto commerciale assunse proporzioni impressionanti. I viaggiatori affrontavano disagi e pericoli nelle lontane terre dei continenti extraeuropei non solo per trovare di che arricchire le proprie collezioni,ma anche per raccogliere reperti da cedere, dietro compenso, a musei pubblici e privati.

La condanna della curiosità da parte dell’Encyclopédie secondo cui essa non è una mania innocua di raccogliere oggetti, ma un “desiderio di possesso” non solo degli oggetti ammassati dal curioso nel proprio gabinetto, ma anche e soprattutto della posizione sociale che permette di esercitare una influenza determinante sulla vita degli artisti e sull’arte stessa, tale condanna non coinvolge i gabinetti di storia naturale. Anzi, nell’ Encyclopédie Diderot dedica loro un articolo molto elogiativo, sostenendo che il curioso e l’amatore, non appena si accingono a crearli, ridiventano persone rispettabili. Questo concetto emerge ancora più chiaramente nella voce “Storia Naturale”, nella quale i collezionisti vengono paragonati agli studiosi.

La sezione naturalistica della raccolta Venturini comprende minerali, conchiglie, fossili e reperti faunisticì.

L’inventario inizia proprio con la serie I che contiene un elenco di 84 nomi di animali, per la maggior parte uccelli, tra l’altro abbastanza comuni nella fauna italiana, senza l’indicazione della provenienza, a parte qualche caso particolare, come ad esempio alcuni mammiferi donati dal Dottor Sacerdoti, medico nella Repubblica argentina.

Nella serie XXI si trovano elencati due pesci sega, provenienti dall’India e dal Sud America.

La sezione faunistica si presenta oggi in pessime condizioni di conservazione.

Nelle serie II – V –VI – VIII – XIII – XIX – XX dell’Inventario troviamo la descrizione della raccolta di minerali e rocce, con indicazioni di particolari e della provenienza. A parte qualche pezzo trovato od acquistato da Venturini, la maggior parte degli elementi sono doni fatti da amici e conoscenti, in particolare il Dottor Castellani di Lucca, il Professor Galesio di Aosta, il pescatore Paolozzi di Ancona, il Professor Greco di Lecce, il Conte Grati di Costantinopoli, il Dottor Basso di Cagliari, il Dottor Spada di Osimo, il Dottor Verdiani di Volterra.

La raccolta è composta di 956 pezzi, con la presenza di un certo numero di ripetizioni.

Le rocce sono rappresentate in minima parte.

L’insieme non ha una rilevanza dal punto di vista scientifico, sono però presenti alcuni minerali molto rari tra i quali la stronziana solfata, la marcasite, l’arsenico metallico, il mercurio metallico, il realgar, e rari quali la pirolusite, l’idocrasio o vesuviana (gemma del Vesuvio), la bulangerite, l’azzurrite, la manganite.

Una sezione comprende una serie di rocce interessanti da un punto di vista ornamentale: marmi, graniti, trachiti, travertini, alabastri.

La collezione malacologica e fossile comprende circa 180 campioni. Principali fornitori sono il Professor Zaccaria di Fermo, l’Avvocato Rosa di Castelli e i citati Paolozzi, Grati e Spada.

Sono presenti in prevalenza comuni conchiglie del Mediterraneo e ammoniti, fossili.

Nella sala del museo si propone la ricostruzione della sezione naturalistica e mineralogica della collezione con il materiale sistemato nelle vetrine d’epoca restaurate. Minerali e fossili ricollocati, dopo l’inventariazione e la pulizia a cura dell’Istituto beni Culturali, seguendo i raggruppamenti e gli accostamenti voluti dal Venturini offrono un’efficace e spettacolare visione d’insieme della,raccolta nella disposizione iniziale scelta dal collezionista.

La ricostruzione intende anche offrire una chiave di lettura per rivisitare quel legame ideale fra oggetti e arredi che faceva del museo un’entità originale ed esemplare per la storia del collezionismo e della museografia ottocentesca.

OPERE PITTORICHE

All’interno della raccolta scientifica la sezione artistica non trova molto spazio; con le sue particolari caratteristiche non viene inserita organicamente nell’Inventario.

Solo alcune opere con supporti particolari (marmo, agata, pietra dura, lavagna, ecc.) troveranno una loro precisa collocazione insieme ai reperti di Scienze naturali e verranno conteggiate nel totale dei pezzi. I dipinti appartengono ad una serie a parte, l’ultima dunque, forse aggiunta con decisione dell’ultimo momento, al termine del suo Inventario dopo la chiusura dello stesso, quasi non appartenesse del tutto al “piccolo Museo”.

Ogni voce della serie segnala presenza e caratteristiche della eventuale cornice, il tipo di supporto, la tecnica di esecuzione, l’anno si acquisizione, l’iconografia, il pregio artistico, l’eventuale nome dell’autore, il nome del donatore e le ragioni di tale donazione o il luogo dell’acquisto. 

Venturini è poco esperto di iconografia sacra e profana, ma annota ogni piccola informazione, di cui dispone, nel suo Inventario come pure nelle opere: sul verso delle tele, tavole o disegni sono spesso incollate carte con annotazioni che riprendono le voci dell’Inventario nella preoccupazione di una dispersione della collezione. La collezione di dipinti si basa essenzialmente su donazioni, non è frutto di scelte specialistiche. I dipinti sono di piccolo formato, originariamente destinati per lo più all’arredo domestico. Ad una lettura approfondita delle opere, ne emergono alcune di qualità. La più antica è la piccola immagine di San Bernardo, di pregevole fattura, cinquecentesca.

Degne di nota anche alcune piccole tavole attribuite a maestranze minori, dello stesso secolo, che gettano luce sull’ambito artistico relativo ai temi della devotio domestica. Del Seicento è una bella incisione con San Gerolamo, una citazione a parte meritano tre tele molto interessanti per la stessa parentela con la Serie dei Capricci di Salvator Rosa, del 1656 circa. Del secolo successivo è la terracotta con la caduta di Cristo sul Golgota, di estrema eleganza e con una personale interpretazione dei modelli del siciliano Giacomo Serpotta.

LA RACCOLTA LIBRARIA

All’interno di uno dei suoi cataloghi manoscritti, vi sono dei fogli liberi il cui titolo è “Archiviazione delle opere della piccola biblioteca del Dott. Carlo Venturini da usarsi alla opportunità, piacendo”. E’ da questo punto che si può partire per una lettura della sua raccolta libraria.

Relativamente al concetto moderno di biblioteca colpisce subito la presenza, nelle ultime quattro sezioni, dell’archivio personale: la documentazione sulla sua attività di medico, sull’appartenenza alle varie Accademie ed Istituti, presente tuttora nel Fondo Antico. La raccolta di autografi è conservata solo in parte e purtroppo l’epistolario personale e quello relativo all’attività consolare non esistono più, a causa soprattutto dei molti trasferimenti subiti dall’intera collezione. La scelta di inserire l’archivio privato nella raccolta di libri è finalizzata all’intento autocelebrativo insito nel progetto di Museo, bene a favore della comunità a memoria perenne del cittadino Venturini. I titoli posseduti da Carlo Venturini al momento della morte nel 1886 sono 2931 corrispondenti a circa seimila volumi (esattamente 5428 alla catalogazione del 1956). Esistono i cataloghi manoscritti da lui redatti fino agli ultimi giorni di vita. A questo nucleo si aggiungono 1271 opere donate, rilegate in volumi miscellanei, divisi in tre filoni principali: letterari, scientifici ed opere diverse.

Relativamente ai nuclei portanti della biblioteca basta seguire la suddivisione in categorie riportata nel manoscritto “Vademecum della piccola biblioteca”: egli divide i libri in quattro classi, ognuna delle quali comprende categorie e suddivisioni. La prima classe è quella delle Opere Scientifiche che comprende Medicina, Chirurgia, Veterinaria, Legislazione, Matematica. La seconda classe raggruppa le Opere Letterarie; la terza classe è quella delle Opere Artistiche con Disegno d’ornato, Architettura, Pittura, Scultura, Agricoltura e Arti meccaniche. La quarta classe comprende le opere linguistiche con le categorie Inglese, Francese, Tedesca, Spagnola, Greca, Araba, Ebraica, Russa.

Venturini concretizza l’idea di creare il museo negli anni ’70, la biblioteca invece cresce fin dagli studi universitari, i libri sono sempre presenti nella sua vita e lo seguono nei suoi spostamenti. Il nuclei più corposo, quello scientifico (639 titoli) è lo specchio più fedele della sua personalità. E analizzando questa sezione ci accorgiamo che quel cambiamento netto avvenuto agli inizi degli anni ’60, col passaggio dalla professione di medico all’attività diplomatica, quell’abbandono totale dell’interesse per la medicina mostrato in pubblico e di cui non fa menzione nel Memoriale, in effetti è solo apparente. In realtà i libri entrati a far parte della sua biblioteca dal 1860 dimostrano il contrario, sono soprattutto i libri dei maestri delle discipline che ha studiato che egli raccoglie e in essi cerca un sostegno alla sua concezione di medicina, una rivincita silenziosa, una modalità giustificativa del suo operato di medico. Egli vuole ritrovare i maestri, i testi di storia della medicina e un nucleo molto consistente riguarda i classici greci e latini, i testi dei grandi filosofi dell’antichità, che costituivano la base della formazione classica e medica.

Un grande interesse per la pedagogia e la formazione delle nuove generazioni attraversa tutte le categorie letterarie. Venturini cercò tali opere perché la sua biblioteca aveva come fondamento quella di essere uno strumento di conoscenza.

La letteratura è divisa in quattro classi: scolastica, varia, storica e romantica. La categoria “letteratura varia” comprende prosa e poesia, italiana e latina; la “letteratura storica” include la storia sacra e le biografie, la “letteratura romantica” comprende solo romanzi.

La maggior parte dei libri della raccolta appartiene al XIX secolo, ma pochi sono i testi letterari ispirati alla politica del romanticismo, al Risorgimento, ricorrono invece con più frequenza i classici latini e greci, per i quali ricerca anche edizioni del ‘500 e del ‘600. Egli resta fedele all’ideale umanistico di letteratura come otium che l’Arcadia aveva riproposto e che rappresenta la matrice della sua formazione culturale.

Di qui il legame abbastanza profondo con la scuola classica romagnola di cui nella biblioteca abbiamo la presenza di un gruppo di testi e autori che caratterizzano due suoi aspetti fondamentali, le traduzioni dal latino e le istituzioni retoriche. La sua raccolta letteraria però denota alcune omissioni: il Seicento, gran parte della produzione settecentesca, la letteratura europea. Uno degli aspetti della poetica romantica che esercita maggior fascino su Carlo Venturini è la corrente dello storicismo, testimoniata dalla presenza di una corposa sezione di opere storiche e dal ricorrere, nel catalogo, della dicitura “romanzo”, “dramma” o “melodramma” storico accanto ai titoli di molte opere.